La vita è densa di fenomeni apparentemente banali la cui esistenza è motivata da ragioni profonde e dinamiche complesse. Consideriamo la didattica dell’informatica. Perché, nel 2025, non siamo ancora in grado di garantire un accesso libero e scalabile alle informazioni di base della materia?
Ho frequentato parte dell’università durante il periodo della pandemia da COVID-19. Nello specifico, stavo seguendo il mio primo anno di magistrale quando, da quel marzo del 2020, il mondo è temporaneamente cambiato. La pandemia ha sicuramente portato tanti disagi, ma come ogni fenomeno complesso, sono anche emerse piccole ma importanti opportunità. Dato che tutto si è spostato online, l’atto di registrare le lezioni, un tempo neanche lontamente preso in considerazione, è diventato tremendamente necessario.
Verso la fine del 2021, ho avuto modo di sfruttare questa opportunità. Ho potuto seguire un corso intero proprio perché le lezioni erano state registrate e rese disponibili agli studenti. Era un corso che altrimenti non avrei mai seguito. Mi era stato rifiutato dalla segreteria del corso di laurea e in ogni caso non avevo la possibilità di seguire le lezioni fisicamente. Per fortuna però queste lezioni erano state registrate. Il corso parlava di Network Security. Ho avuto il privilegio di ascoltare la voce del professore ed imparare dalla sua esperienza. Il tutto rimanendo a casa, oltrepassando quei limiti fisici che hanno sempre limitato lo sviluppo della conoscenza umana. Il corso mi ha dato tante gioie e mi ha fatto scoprire il magico mondo della crittografia applicata e del protocollo TLS, uno dei protocolli che sta alla base della sicurezza di internet. Sono grato al professore per ciò che mi ha dato. Analizzando la situazione, non posso non essere grato, in minima parte, anche alla pandemia. La vita è complessa, non trovate?
È tempo dunque di chiederci i perché:
Perché c’é stato bisogno di una pandemia per registrare le lezioni?
E perché, qualche anno dopo il termine della pandemia, molti corsi sono ritornati allo stato pre-pandemia, e si rifiutano di registrare le lezioni?
Se l’università avesse come unico obiettivo quello di massimizzare la consapevolezza e la conoscenza informatica, dal mio personale punto di vista, non ci sarebbero scuse:
ogni lezione sarebbe registrata e indicizzata in un apposito archivio. Un archivio che conterebbe una piccola ma importante parte dello scibile umano. Un archivio aperto a tutti. Accessibile da tutti, almeno in lettura;
per ogni lezione, si condividerebbe il materiale;
per ogni corso, si chiederebbe seriamente il feedback agli studenti e non come semplice formalità;
si organizzerebbero continui incontri tra studenti, professori, ricercatori, e figure manageriali dell’industria, per capire cosa ha senso insegnare e come ha senso farlo.
Accade che queste cose, purtroppo, non avvengono. Non è mia intenzione generalizzare, e tengo a precisare che tutto questo discorso fa riferimento esclusivamente all’insegnamento dell’informatica. Voglio solo raccontare una parte di questo mondo: quella che mi contiene. Il mondo dell’università è anche pieno di persone competenti. Persone che formano. Persone che ti aiutano a capire i perché delle cose. La sensazione però è che l’istituzione dell’università, nella sua crescita, si sta trasformando in altro. Non più in un luogo del sapere, ma in una particolare forma di business, in cui non importano più le singole competenze che si trasmettono, ma solo le statistiche generali:
Il mondo è, oramai, una successione di misurazioni e statistiche. Le statistiche sono utili, ma capita fin troppo spesso di concentrarci su quelle che in realtà dicono veramente poco delle dinamiche del mondo.
Non conosco i motivi dietro questa trasformazione. Questo è chiaramente un fenomeno complesso. L’unica cosa che posso fare è osservare. Osservo che in molti contesti in cui si studia informatica la direzione non sembra più tendere verso la conoscenza. Tende verso altro. Osservo che mentre la tecnologia continua ad inglobare sempre più parti della nostra esistenza, la nostra abilità di istruire e di condividere conoscenza nel contesto informatico fa sempre più difficoltà ad essere efficace.
Proprio durante la pandemia, per scappare dalla noia dell’università, ho iniziato a registrare dei video a tema informatica. Registravo video e poi li caricavo su YouTube. In ciascun video discutevo una particolare idea, o mostravo come fare una cosa tecnica. Ho parlato della Macchina di Turing e della connessione tra i linguaggi e le macchine, ho mostrato come analizzare la sicurezza di macchine vulnerabili, ho portato delle implementazioni in C, Python, Emacs-Lisp, e via dicendo. Ciò che mi spingeva in questo continuo atto creativo era condividere ciò che raramente ho visto durante i miei anni in università: mostrare l’informatica manifestarsi nel proprio computer. Scrivere codice interessante. Eseguire codice interessate. Leggere codice interessante. Non limitarsi al parlare di idee teoriche, ma mostrare le conseguenze di quelle idee. Non perché le idee teoriche sono brutte (sono invece bellissime), ma proprio perché un modo utile per avvicinarsi di più alle idee teoriche è renderle più umane, più concrete. Mi dava troppo fastidio che certe idee non erano discusse. Perché le persone non capiscono la bellezza dell’informatica? Perché nessuno la mostra!
Gli inizi sono momenti delicati. Non sapevo esattamente cosa stavo facendo. Volevo parlare ad una nicchia, la nicchia di persone veramente interessata ad imparare l’informatica. Volevo mostrare a questa nicchia cose sempre più complesse. Volevo mostrare cosa significasse diventare un esperto. E dato che non mi sentivo esperto, mi sono fatto la promessa più importante: sarei diventato un esperto e avrei mostrato cosa significasse essere esperto! In tutto questo periodo, ho sempre dato priorità alla qualità del contenuto. Me ne sono altamente infischiato delle tipiche regole delle piattaforme. Del catturare l’attenzione. Perché non avrebbe avuto senso altrimenti. O questo, o niente. Mi chiedevo, e mi chiedo tuttora: ha senso parlare a questa nicchia? Esiste? Ascolta?
Inizialmente il canale aveva il mio nome. Poi ho capito che volevo qualcosa di altro. Volevo creare qualcosa che andava ben al di fuori della mia persona. Volevo esplorare un’idea di insegnamento. Un modo diverso di approcciarsi alla didattica dell’informatica. E volevo che quel modo fosse copiato da altri. Che si diffondesse. Esattamente come il virus SARS-CoV-2. Solo che questo virus era diverso, perché non avrebbe distrutto, ma creato. Volevo condividere quella voglia di approfondire ogni dettaglio tecnico. Quella voglia di mostrare l’informatica manifestarsi. Ho dunque deciso di rinominare il canale in Esadecimale, predendo spunto da una delle notazioni più utilizzate nel contesto informatico.
Qualche giorno fa, mentre stavo facendo un backup, avevo tutti i video salvati all’interno di una cartella.
$ ls
...
333-mnist-c.mp4
334-sito-web-tutorial.mp4
335-internet-morto.mp4Utilizzando ffprobe ho calcolato la durata totale di questi video.
$ find . -type f -name "*.mp4" -print0 |
while IFS= read -r -d $'\0' file; do
ffprobe -v error \
-show_entries format=duration \
-of default=noprint_wrappers=1:nokey=1 \
"$file";
done | awk '{ sum += $1 } END { print sum }'Seguono le statistiche:
927957 secondi
15465 minuti
257 ore
10 giorni
È come se, un giorno, mi fossi alzato dal letto e avessi iniziato a parlare di informatica, senza stop, per 10 giorni consecutivi. Un’immagine mentale alquanto buffa. In realtà ho parlato per più di 10 giorni, perché in questo periodo ho anche aperto un canale inglese, Hexdump, in cui ci sono altri 200 video. Per non parlare dei training che ho svolto a lavoro e che continuo a svolgere al di fuori di YouTube.
In tutto questo parlare probabilmente c’é una risposta alla domanda: si, ha senso parlare a questa nicchia. Queste ore di lavoro mi hanno fatto capire tante cose. Tra queste, ho capito cosa è necessario fare per migliorare la didattica dell’informatica. Quando ho capito l’urgenza di questa faccenda mi sono licenziato dal lavoro dipendente che stavo svolgendo (penetration tester e trainer in una società di cybersecurity) e ho aperto partita IVA.
Il necessario può essere compresso nei seguenti punti:
Desidero l’esistenza di un luogo che insegni, tra le altre cose, come implementare i seguenti progetti:
Attualmente in Italia un luogo del genere non esiste. Voglio creare questo luogo. Un luogo il cui obiettivo principale sarà massimizzare la consapevolezza e la conoscenza informatica. Mi pongo dunque come obiettivo personale e come obiettivo del progetto Esadecimale la trasformazione di queste idee, astratte ed ambigue, in una realtà concreta in grado di impattare positivamente la vita di tante persone nel rispetto dell’informatica.
C’é tanto, tantissimo lavoro da fare per raggiungere questo obiettivo. Ho scelto di raccontare questo percorso pubblicamente, nelle parole di questo blog, anche e specialmente come monito per me stesso. Da questa consapevolezza segue la ragione per cui mi sono licenziato: perché ho capito che non avrei mai trovato il tempo necessario a creare tutto questo con un lavoro da dipendente. In questi primi mesi da freelance ho capito come procedere tecnicamente al fine di raggiungere questi obiettivi. Entrerò nei dettagli tecnici in un futuro post.
Ti ringrazio per la lettura.
Leonardo Tamiano.